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    TikTok e la politica, che cosa ci insegna sui social network

    Di Paola   |  

    Settembre 26, 2022   |  

    Orange Blog   |  

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    TikTok e la politica, che cosa ci insegna sui social network

    La campagna elettorale appena conclusasi ha visto una “discesa in campo” ben diversa da quella che siamo abituati a immaginare parlando di elezioni, cioè quella dei principali leader politici su TikTok nel tentativo di intercettare le fasce più giovani della popolazione.

    Non è dato sapere quanto questa decisione abbia prodotto i risultati sperati ma possiamo in compenso rilevare alcune dinamiche che hanno tutto a che vedere con il concetto di target e con la visione che si ha in Italia dei social network:

    1. La classe dirigente sta prendendo sempre più consapevolezza del fatto di dover imparare a conoscere i social. Quando le questioni attualmente di primo piano passeranno in secondo e perderanno presa è possibile che anche in Italia – con il consueto ritardo – si cominci a ragionare su come introdurre norme a regolamentare le piattaforme online, ma una cosa è certa: che intervenga o meno la legislazione, si andrà incontro a un cambiamento nel modo di comunicare a tutti i livelli politico-sociali;
    2. Un social è un canale, non un contenuto di per sé, ma senza la corretta conoscenza dei format e degli algoritmi si rischia di sprecare tempo ed energia in contenuti che spiccano come inadeguati al mezzo che stiamo usando. L’utilità di ciò che carichiamo sui social dipende strettamente da quanto riusciamo a entrare in sintonia con le dinamiche che lo guidano;
    3. La cosa forse più importante nel breve termine come promemoria per i marketers: ogni prodotto o servizio ha il proprio target e tentare di offrirlo ad altri è solitamente inconcludente. I leader di partito hanno un’età media elevatissima, se vista dagli occhi di un ragazzo che usa TikTok, e parlano di temi che tendono a catturare poco l’attenzione dei più giovani. L’accoglienza a tratti derisoria che questi “tiktoker fuori tempo massimo” hanno riscosso ricorda un elemento fondamentale delle fasce di età: i giovani non vogliono stare assieme ai meno giovani, hanno ambienti diversi che tutelano dalle intromissioni degli “adulti” e che parlano una propria lingua;
    4. Non solo: oltre a non funzionare per intercettare il target al quale aspiriamo, sforzarsi goffamente di parlare una lingua non nostra ha l’effetto aggiuntivo di allontanare parte del target di riferimento che avevamo prima in quanto questo vedrà il brand che segue da tempo impantanarsi in cose che probabilmente ritiene sciocchezze o, comunque, stranezze giovanili.

    La mossa di gettarsi dove si può sperare di diventare virali potrebbe però essere parzialmente efficace nel medio periodo: nella grande quantità di giovani che hanno visto quei contenuti, qualcuno di interessato ci sarà e potrebbe consentire di avere “ambassador” già abili nell’uso di TikTok quando questi saranno ormai prossimi all’età del voto e seguiti da molti coetanei. Questo insegna a guardare ai target non solo presenti ma anche a pensare a politiche di branding “coltivando” quelli del prossimo futuro.

    Un’altra cosa interessante da notare, a questo proposito, è che in ambito politico, sui profili italiani di TikTok sono stati molto in voga quei filtri che consentivano di rispondere a domande  sui programmi elettorali e che individuavano il partito politico più vicino all’utente: ragionando su quanto da ragazzini si è mediamente interessati alla politica, viene da chiedersi se i tiktokers siano stati attratti verso il tema grazie agli algoritmi oppure se l’utenza di TikTok non abbia già imboccato la via dell’invecchiamento e non si stia quindi gradualmente creando il bacino potenziale per un successore della piattaforma cinese sul trono di “social dei giovanissimi”. 

     


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