Lo strano caso della nuova identità di Twitter: si tratta davvero di rebranding?

Di Paola   |  

Ottobre 03, 2023   |  

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Lo strano caso della nuova identità di Twitter: si tratta davvero di rebranding?

Sin dall’acquisizione di Twitter, Musk aveva annunciato la volontà di chiudere con il passato e conferire alla piattaforma dell’uccellino blu una nuova identità che sancisse non una transizione graduale, bensì un taglio netto con il lavoro fatto dai suoi predecessori, Dorsey, Stone, Williams e Glass. In queste settimane ha tenuto banco la questione del cambio logo del social.

A lanciare Twitter nel luglio del 2006 fu Dorsey, un imprenditore illuminato e filantropo. L’idea alla base era quella di consentire agli utenti di messaggiare in rete in tempo reale. Una nuova veste, dunque, per i tradizionali messaggi di testo che da una dimensione privata e a pagamento si spostano su una dimensione molto più ampia, condivisa con molte persone e totalmente gratuita. Se il world wide web ha sancito un nuovo capitolo dell’odierna società consumistica, Twitter ha segnato la svolta nel modo di fare comunicazione: Una multi-direzionalità caratterizzata da un confronto più ampio che ha consentito agli utenti di uscire dall’anonimato e sostenere conversazioni in tempo reale anche con le cosiddette “celebrities”.

Centoquaranta caratteri, un tweet, un cinguettìo, l’immediatezza, la sintesi, la necessità di essere chiari e concisi, l’uccellino come logo comprato su I-stock per 15 dollari, una realtà che ha avuto la forza e il carisma di insediarsi prepotentemente nella mente degli utenti raggiungendo negli anni l’apice del successo. A Twitter si deve la rivoluzione nella comunicazione politica e istituzionale: niente più intercessioni, niente più filtri tra istituzioni e popolo, botta e risposta che negli anni hanno coinvolto miliardi di utenti con milioni di tweet ogni ora sugli argomenti più disparati.

Sapete qual è lo slogan di Twitter? “What’s happening?” vi dice nulla?

Avete già capito! Whatsapp! L’app di messaggistica istantanea, gratuita, che riporta le “chat” in una dimensione privata o al massimo condivisa con gruppi di poche persone (siamo nel 2009). Questo inciso serve, qualora ce ne fosse bisogno, a far capire che riscontro in termini di successo può avere un brand ben posizionato che, oltre a diventare una realtà con un valore stimato in diversi miliardi di dollari, è stato in grado di “fare tendenza” direbbero nel campo della moda.

nuova identità twitter

Però ogni idillio finisce e nel luglio del 2022 Twitter è stato venduto ad Elon Musk per 44 miliardi di dollari. A nemmeno 24h dal suo acquisto, secondo le maggiori agenzie di retail, l’uccellino blu ha perso oltre il 30% del suo valore sul mercato, quei “fantomatici” miliardi bruciati di cui sentiamo ogni giorni parlare in borsa. Le manovre successive fatte da licenziamenti di massa, la chiusura della sede europea, il conseguente abbassamento dei controlli per garantire la sicurezza degli utenti in rete, le idee politiche e la personalità dirompente e “leggermente sopra le righe” del nuovo proprietario hanno fatto il resto.

Ad un anno dall’acquisizione del social da parte del padre di PayPal e Tesla, il valore della società si è più che dimezzato complice anche l’eccessivo permissivismo di Musk verso contenuti discriminatori che hanno comportato una crescente insofferenza verso le nuove politiche. Si è avuta oltre che una certa curiosità verso Mastodon, visto come possibile alternativa) e un netto calo delle inserzioni a pagamento da parte degli utenti. La nuova proprietà ha provato a rimediare inserendo una versione in abbonamento che contrassegna gli account con una spunta blu, favorendone la visibilità. Tutto ciò è servito a poco e l’emorragia di denaro continua con un ultimo contraccolpo subito quando lo scorso luglio l’amato logo storico è stato sostituito con una X bianca su sfondo nero: una nuova identità decisamente costosa.

Sorgono spontanee alcune domande: quella di Musk è stata una strategia di marketing? Possiamo parlare davvero di un rebranding?

Prima di rispondere a queste domande, proviamo a capire insieme che cosa sia un rebranding.

Cosa si intende per “rebranding”? Per rebranding si intende un processo di cambiamento fatto in chiave strategica che coinvolge sostanzialmente la brand identity di un marchio già consolidato sul mercato.

Logo, payoff, stile di comunicazione, naming sono tutti elementi potenzialmente coinvolti da questa modifica e vanno a creare un’identità differenziata rispetto a quella precedente, incidendo anche sul posizionamento nel mercato.

Alcuni esperti di settore parlano di restyling di un brand evolutivo e dunque si parla di un continuum con la “vecchia” identità e sovente riguarda gli elementi visivi del marchio (logo e payoff) oppure rivoluzionario, nel caso in cui ad essere modificato è anche il naming. Se nel primo caso si assiste a un cambiamento graduale, quasi impercettibile, nel secondo si tratta di un mutamento drastico che, prima di essere effettuato, va ponderato attentamente poiché implica diversi rischi.

Secondo l’Economic Times il rebranding può essere di tipo proattivo o reattivo.

Si parla di rebranding proattivo quando le aziende ritengono che questa operazione, esaminate tutte le variabili, possa portare benefici nel medio-lungo termine come l’acquisizione di nuovi mercati, un nuovo posizionamento del marchio, diversificazione del target o consolidamento del rapporto con il target originario, evoluzione del business, crescita aziendale, ampliamento dell’offerta. Tutti questi aspetti indicano un’ innovazione necessaria che consente ai brand di camminare lungo un percorso di crescita e innovazione costante.

Si parla, invece, di rebranding reattivo quando la “ristrutturazione del brand” si rende quasi obbligata per arginare o prendere le distanze, per esempio, da eventi che hanno segnato in negativo la reputazione del brand stesso, oppure nel caso in cui il marchio venga acquistato da una nuova proprietà, oppure ancora nel caso in cui occorra dare una risposta ai progressi messi in campo dai competitor.

In ognuno di questi casi, però, occorre essere consapevoli che una qualsiasi variazione introdotta comporta all’esterno una percezione diversa del proprio marchio che non sempre ottiene risposte positive pertanto è imprescindibile vagliare attentamente vantaggi e svantaggi che possono derivare da una nuova identità e dallo “strappo” rappresentato da una manovra simile.

Si può quindi parlare di “rebranding”, per Twitter?

Come abbiamo visto sopra nel luglio 2022 Twitter è diventato di proprietà della x.com la società di Musk, già esistente prima dall’avvento di PayPal. Dietro la scelta del patron di Tesla non sembra esserci una vera e propria strategia di marketing quanto una semplice motivazione di ego: Musk ha sempre detto di essere attratto dalla lettera X. Essa è presente in tutte le sue società come la SPACE-X e persino nel nome del figlio. Motivazione decisamente slegata dalla pianificazione e per nulla funzionale che gli sta arrecando non pochi danni economici, sebbene il suo ingente patrimonio gli permetterà di dormire sonni tranquilli ancora per diversi anni. Il dominio di x.com attualmente reindirizza ancora a twitter.com e negli store l’app è ancora presente con il suo nome di “battesimo” ma è solo questione di tempo prima che il social cambi definitivamente tutti i connotati.

Le recenti modifiche che limitano considerevolmente il numero di tweet che un utente può visualizzare o inviare in un’ora, l’annuncio dello stesso Musk che la piattaforma diventerà un luogo in cui condividere articoli, fare transazioni bancarie e molto altro lasciano pochi dubbi sul fatto che si sia abbattuto come un uragano su un prodotto che funzionava perfettamente e che non necessitava di grandi stravolgimenti. Alcuni sostengono che le ragioni di questa nuova identità della piattaforma siano in realtà le intenzioni politiche neanche troppo velate del personaggio e che il suo intento sia favorire alcuni politici per cui simpatizza in vista delle prossime presidenziali negli USA. Quali siano le sue reali intenzioni nessuno può saperlo al di fuori di lui, quello che rimane sotto gli occhi di tutti è che Twitter ha perso appeal agli occhi degli utenti e che ciò sta avendo un eco di malcontento generale.

Per rispondere alla domanda iniziale: possiamo parlare di rebranding?

A nostro avviso, stando così le cose, in questo caso non possiamo parlare di rebranding quanto di scelte guidate da mire personali ancora non chiare. D’altra parte, Musk è noto per i suoi colpi di testa e le sue decisioni stravaganti.

Chissà se abbandoneremo mai i verbi gergali come twittare, retwittare, il cinguettio che quell’uccellino blu ci ha regalato in questi anni: l’abitudine a queste parole mostra il grande successo di brand identity e posizionamento che ha ottenuto Twitter. Quel che è certo che quei 15 dollari spesi su I-stock sono stati l’investimento low-budget più azzeccato nella storia del social e che non sempre i soldi nel business sono tutto. Talvolta per essere un imprenditore illuminato occorrono due caratteristiche: Visione e Umiltà, ma questo Elon lo ha perso di vista diversi anni fa acquistando a sua volta la nuova identità del miliardario bizzarro. Forse, se ci fosse un negozio in cui poterle acquistare, le comprerebbe solo per il gusto di metterci una X sopra!


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