È un fatto ormai assodato che l’ambiente in cui viviamo sia saturo di messaggi: anche se si potrebbe dire che ogni cosa può essere un messaggio, è chiaro che diventa qualcosa di diverso quando quel tipo di input assume finalità pubblicitarie. Se un tempo “bastava uscire di casa” per essere bersagliati da ogni genere di pubblicità, oggi neanche rimanere in casa o usare il proprio telefono ci fa fare “una pausa” dal continuo tentativo di venderci qualcosa (e con quale efficacia, grazie ai nostri comportamenti sul web e sui social network!). Se però i messaggi promozionali sono aumentati a dismisura, lo stesso non si può dire della capacità delle persone di prestare attenzione a più cose contemporaneamente. Questo porta inevitabilmente a una vera e propria competizione, prima ancora che per la vendita del prodotto, per l’ottenimento dell’attenzione del consumatore e per il mantenimento di essa nel periodo più lungo possibile.
Il problema dell’attenzione limitata non è relativo solo all’ambito commerciale: tutti abbiamo visto quanto in fretta la pandemia, che era stata quasi il tema unico nelle nostre menti per due anni, sia pressoché scomparsa di fronte allo shock di una guerra più vicina del solito alle nostre vite. Lo stesso accade per questioni legate alla politica o al gossip. Si direbbe quindi che, salvo eccezioni o questioni di poco conto, si possa davvero pensare “solo a una cosa per volta”.
Abbiamo quindi consumatori che, anche quando si rivelano nostri potenziali clienti grazie a una buona analisi di mercato, saranno al centro di una vera e propria calca di messaggi pubblicitari. Forse non ci vedranno, forse non vorranno saperne di un altro “consiglio per gli acquisti”. Come si può fare in modo di essere notati in un contesto simile? Pensiamo a periodi storici meno digitalizzati: c’erano spot televisivi che rimanevano molto impressi e alcuni di questi li ricordiamo ancora oggi, ciascuno per propri motivi. Un’elegante signora in giallo che chiede qualcosa di buono al distinto autista, un ragazzo che lancia un pallone da rugby alla madre che lo “para” con una carta d’alluminio per dimostrarne la resistenza, gelati che sottolineavano come “due è meglio di uno” e tutti i vari personaggi del mondo dell’intrattenimento che promuovevano yogurt o prosciutto cotto con sketch nel loro stile.
Quello che rendeva memorabili quegli spot era l’avere elementi insoliti e capaci di renderli veri e propri tormentoni da citare. Oggi, con i social imperanti, lo stesso può esser detto di quello che riesce a ottenere l’effetto “meme”. Vediamo come è possibile passare attraverso la densa cortina di pubblicità, essere notati dai nostri clienti e rimanere nella loro mente:
- Essere brevi: regola numero 1 di ogni messaggio sui social, dobbiamo andare a segno nel tempo di uno scroll della bacheca di Facebook o Instagram. Possono esserci casi in cui siamo così sicuri di aver individuato lo stile giusto da essere tentati di dilungarci, ma è meglio riservare testi e video più lunghi a fasi successive del percorso di vendita, quando il cliente saprà già di noi e si sarà già dichiarato interessato;
- Essere diversi: altra regola d’oro del marketing, più riusciamo a distinguerci dalla concorrenza, più saremo ricordati e considerati. Questo può passare per una scelta di elementi visivi, testuali o altro, ma osserviamo sempre bene che cosa fanno i nostri competitor e cerchiamo di capire che cosa viene fatto “perché funziona” e che cosa invece “perché è la loro firma” (e non può quindi essere anche la nostra);
- Uscire dagli schemi: ormai tutti sappiamo come è fatta una pubblicità e tendiamo a filtrarla in partenza. Serve trovare una formula diversa che la faccia percepire come tale solo in un secondo momento: un esempio può essere quello dello storytelling proponendo qualcosa di suggestivo che sia interessante al di là dell’offerta promozionale, oppure mostrare una situazione paradossale che “trattenga” l’utente incuriosito nel tentativo di interpretarla;
- Suscitare un’emozione a prima vista: che si strappi una risata, che si commuova o che si accenda un interrogativo, è importante inserire una componente emotiva nel messaggio. Quando il potenziale cliente inizierà a usare la razionalità sarà già passato oltre, è fondamentale toccare prima le corde delle emozioni;
- Essere riutilizzabili come format: grazie ai social (in particolare Facebook) e allo sdoganamento di strumenti che rendono semplice inserire scritte nelle immagini, gli utenti rendono virali i contenuti che possono essere correlati ad ambiti del tutto slegati da quello iniziale del messaggio pubblicitario. Più un messaggio è riutilizzabile da chiunque, più circolerà rendendo visibile la fonte originale, creando awareness, curiosità e posizionando il nostro brand.
Ora siamo in grado di iniziare a progettare messaggi efficaci per un buon annuncio, per essere notati e ricordati. C’è però un’ultima cosa a cui fare attenzione in questo continuo tentativo di risultare freschi, simpatici e brillanti:
- NON essere inopportuni o “cringe”: prendere una cantonata o suscitare imbarazzo può rovinare tutto. Il caso più tipico è quello di un’azienda dalla mentalità datata che tenti di mostrarsi giovane in modo forzato, apparendo così solo disperata e in cerca di attenzioni. Una volta formulato il nostro messaggio, è bene sottoporlo a qualcuno di appartenente al nostro target e capire se abbiamo intercettato quel sentire o se rischiamo di scivolare su una buccia di banana.
La rapidità con la quale i meme si avvicendano rende arduo rimanere impressi per lungo tempo, ma riuscendo ad abituare i followers a contenuti di questo tipo è il brand stesso a diventare “tormentone” e, a lungo termine, è perfino preferibile (si veda ad esempio la strategia comunicativa di Taffo).
E tu? Come costruisci i tuoi messaggi promozionali? Ti è mai successo che uno di questi diventasse virale e ampliasse il tuo bacino di clienti?
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