Gli ultimi anni, con i loro complessi periodi, hanno forzato un cambiamento nel mercato pubblicitario in direzione del digitale. In particolare, è cresciuta la considerazione di una realtà che da sempre era stata vista come emergente ma che ha assunto un rilievo ormai non trascurabile, ovvero l’influencer marketing.
Se da un lato non è mai stato messo in dubbio il potere di un buon testimonial e quindi degli influencer con grandi numeri (il nome di una Chiara Ferragni sta dimostrando proprio in questi giorni quale portata riesca ad avere anche solo in termini di awareness), dall’altro le aziende stanno imparando ad appoggiarsi anche a nomi con un minor richiamo, magari molto settoriali o di nicchia. Anzi, in certi casi chi ha troppi followers al punto da essere percepito come VIP e non più come “persona comune” perde in utilità: la potenza dell’influencer sta nell’idea che trasmette di essere “vicino” al suo follower, ottenendo i pro di una grande visibilità senza perdere quelli del “passaparola fra amici”.
Questo vale solo in parte per l’Italia, dove l’influencer marketing ha preso fortemente piede soltanto in determinati settori mentre rimane trascurato in altri: retail, moda, tecnologia, food&beverage, viaggi e turismo, prodotti di bellezza, sono tutti ambiti nei quali l’influencer può avere un ruolo decisivo (sia che si tratti di personaggi molto attenti agli aspetti più tecnici sia che si elevino a “guru”), mentre si fa ancora molta fatica ad appoggiarsi a questo sistema nei casi di imprese più tradizionalmente viste come grandi, storicamente consolidate e dall’alto profilo tecnico, per esempio l’automotive e i prodotti/servizi ingegneristici.
Non si tratta solo di scelte strategiche ma anche di vero e proprio organigramma: le aziende che investono in influencer marketing hanno spesso dei team dedicati composti anche da creator digitali provenienti da quel mondo. Questo è un approccio “da talent scout” ed è spesso un rapporto win-win, perché se gli influencer dispongono del serbatoio di utenza sono invece spesso carenti in visione imprenditoriale e mantengono un approccio istintivo, casual, quasi hobbystico alla propria crescita, cosa che può cambiare radicalmente quando questi giovani esperti vengono inseriti in strutture aziendali. Questo innesca un circolo “formativo” che alimenta un mercato del lavoro fatto di professionisti non più improvvisati ma seguiti da agenzie. Nel caso di chi fa della creazione di contenuti il proprio introito principale, infatti, essere presi sotto l’ala di un’agenzia rappresenta una delle migliori occasioni di crescita.
Chi intende implementare l’influencer marketing deve necessariamente avere il polso dei social con l’utenza più giovane in quanto è quella la fascia meglio disposta a creare community digitali attorno a personalità carismatiche. Attualmente, TikTok è fondamentale mentre Instagram si sta già ammantando di un’aura professionale che va a disinnescare l’idea di trovarsi “fra amici”. Basti pensare che fra i più giovani, TikTok inizia a insidiare YouTube e perfino Google nell’ambito della ricerca di tutorial dei più svariati ambiti: sul social cinese gli utenti hanno la garanzia di trovare informazioni in pochissimi secondi, senza introduzioni e giri di parole. Capire quale lingua viene parlata dal target scelto è quindi, come sempre, dirimente.
Individuare l’influencer più adatto alle nostre necessità può non essere semplice, tuttavia conoscendo proprio settore abbastanza da conoscere i nomi che vi si muovono è possibile fare valutazioni relative alla portata di un content creator e al budget disponibile.
Altri articoli che potrebbero interessarti
Condividi :-

Recent Comments